Presentazione del film di Paolo Sorrentino, con Toni Servillo e Anna Bonaiuto (film vincitore del Prix du Jury, Cannes 2008)
Per la serie “Scopriamo il cinema italiano del 21° secolo”
Per la serie “Scopriamo il cinema italiano del 21° secolo”IL DIVOPresentazione del film di Paolo Sorrentino, con Toni Servillo e Anna Bonaiuto (film vincitore del Prix du Jury, Cannes 2008)C’è un uomo che soffre di terribili emicranie e arriva anche a contornarsi il volto con l’agopuntura pur di lenire il dolore. È la prima immagine (grottesca) di Giulio Andreotti nel film “Il divo”. Siamo negli Anni Ottanta e quest’uomo freddo e distaccato, apparentemente privo di qualsiasi reazione emotiva, è a capo di una potente corrente della Democrazia Cristiana ed è pronto per l’ennesima presidenza del Consiglio. L’uccisione di Aldo Moro pesa però su di lui come un macigno impossibile da rimuovere. Passerà attraverso morti misteriose (Pecorelli, Calvi, Sindona, Ambrosoli) in cui lo si riterrà a vario titolo coinvolto, supererà senza esserne scalfito Tangentopoli per finire sotto processo per collusione con la mafia. Processo dal quale verrà assolto.Paolo Sorrentino compie una scelta difficile pur decidendo di colpire un obiettivo facile: Andreotti. L’uomo di Stato che è stato definito di volta in volta la Sfinge, il Gobbo, La Volpe, il Papa nero, Belzebù e, giustappunto, il Divo Giulio, si prestava sicuramente a divenire simbolo di una riflessione sui mali del nostro Paese. La scelta era comunque difficile perchè Sorrentino aveva alle sue spalle almeno tre nomi ai quali ispirarsi e dai quali stilisticamente distinguersi in questa sua riscoperta del cinema impegnato: Francesco Rosi, Elio Petri, Giuseppe Ferrara. Il primo con il suo rigore nella denuncia, il secondo con una visionarietà graffiante, il terzo con il suo cronachismo drammaturgicamente efficace.Sorrentino riesce nell’operazione. Dichiara, consapevolmente o meno, i propri debiti nei confronti degli autori citati nella fase iniziale del film, innervata però da subito con una cifra di grottesco che diventa la sua personale lettura del personaggio e di coloro che lo hanno circondato e sostenuto. Proprio grazie a questa scelta stilistica può permettersi, nell’ultima parte del film, di proporci le fasi processuali per l’accusa di mafia grazie a una visione in cui surreale e reale finiscono con il coincidere.L’Andreotti di Sorrentino è un uomo che ha consacrato tutto se stesso al Potere. Un politico che ha saputo vincere anche quando perdeva. Un essere umano profondamente solo che ha trovato nella moglie l’unica persona che ha creduto di poterlo conoscere. La sequenza quando i due siedono mano nella mano davanti al televisore in cui Renato Zero canta “I migliori anni della nostra vita” entra di diritto nella storia del cinema italiano. È la sintesi perfetta (ancor più degli incubi ritornanti con le parole come pietre scritte a lui e su di lui da Aldo Moro dalla prigione delle BR) di una vita consacrata sull’altare sbagliato. Una vita in cui, come afferma lo stesso Andreotti (interpretato da un Servillo capace di cancellare qualsiasi remota ipotesi di imitazione per dedicarsi invece a uno scavo dell’interiorità del personaggio), è inimmaginabile per chiunque la quantità di Male che bisogna accettare per ottenere il Bene. (MyMovies)In italiano, sottotitolato in inglese.Giovedì 12 dicembre 2013, ore 19.00Istituto Italiano di Culturavia Meir Rutberg 12, Haifa